Turner e Canaletto

gennaio 10, 2013

Per Turner [1775-1851] lo spazio è estensione infinita, dinamicamente sconvolto da grandi forze cosmiche, perciò le cose che in questo spazio si trovano vengono coinvolte in vortici d’aria e turbinii di luce, finendo per essere assorbite e distrutte nel gorgo del moto universale. È un dinamismo che sfugge al controllo della ragione, che può rapire l’animo umano o sgomentarlo. Turner è grande interprete di ogni sollecitazione emotiva, il suo intento non è quello di rappresentare il mondo esterno, quanto di esprimerne il “sentimento” attraverso la luce e gli effetti della luce (costruita su pennellate dense e increspando il colore sulla superficie della tela) fino a trasfigurare il paesaggio, fino ad offuscarlo, fino a trasformarlo in una visione onirica. [sotto: pioggia, vapore, velocità; 1844]

 Pioggia, vapore e velocità n

 Ecco un lapidario, quanto acuto, commento su Antonio Canal detto Canaletto [1697-1768] fatto da  Owen McSwiny “egli eccelle nel dipingere le cose che gli capitano sotto gli occhi”. Spesso, rapiti dall’insieme della veduta, non si coglie la cifra più autentica della pittura di Canaletto ossia come egli strutturi le figure, come con pochi tocchi di pennello non solo le renda coerenti e nitide (la luce sovente ha qualità di nitidezza e splendore nell’opera di Canaletto, con ombre invece marcate utili a modellare gli edifici) ma anche vive. Attento osservatore di ogni classe sociale di Venezia, Canaletto dimostra così autenticamente, e molto più intensamente che non solo nella rappresentazione della scena in cui le figure si muovono, di essere uomo di “origine civis venetus”.

 canal

Canaletto ricompone un paradosso nelle sue tele. Spesso le vedute non sono fedeli dal punto di vista topografico. Il pittore sceglie un soggetto e poi lo ricompone, lo riarrangia magistralmente secondo i suoi obiettivi, e così facendo (ecco il paradosso) egli ottiene un quadro straordinariamente realistico, “vero”.


Appunti sparsi di recenti letture: Himes vs Benioff

gennaio 9, 2013

Che contrasto stridente, che scontro di stile e sensibilità, di capacità di rappresentare una città, una storia, delle vite in parallelo, ai limiti.

Ho letto due libri che per tematiche sono affini e che rappresentano una città, New York, con risultati diametralmente opposti.

25_ora_01David Benioff  “La 25^ ora” il suo romanzo d’esordio datato 2001 (sottolineo la data perché è un romanzo recente, per cui certe semplificazioni, certe caratterizzazioni risultano essere persino puerili, riciclate dall’ultimo e più infimo telefilm fatto a budget ridotto). Nel mezzo di descrizioni banali, e personaggi stereotipati a livelli parossistici, una storia che dice veramente poco. Banale, tristemente, desolatamente banale è l’unico aggettivo che mi vien voglia di usare. Mentre in copertina critici (annebbiati? Prezzolati? Stitici culturalmente?) sparano: sfolgorante, bellissimo, epico, intenso e compagnia cantante (????) tutto il meglio del meglio, che uno in mano pensa di avere un romanzo con il fuoco in ogni pagina. Ecco, il protagonista, che sogna d’essere un pompiere (in realtà è un piccolo spacciatore, fregato dal compare) mi sa che quel fuoco l’ha spento. Non c’è storia, non c’è New York.

O io sono un alieno (può anche essere), oppure chi scrive di libri probabilmente non li legge, o legge poco in generale.

Chester Himes in “Rabbia ad Harlem” scrive una storia che ha connotazioni persino fiabesche, seppure in sottofondo sia concreta la sensazione di vita, vita versimile, e di un certo tipo di esistenza: sofferenza e povertà le caratteristiche che la connotano; non solo restituisce a fa conoscere un quartiere come Harlem a chi non ci è mai stato, non solo coinvolge il lettore, lo spiazza, lo diverte, lo sorprende, ma costruisce una storia che potremmo definire: sfolgorante, bellissima, epica, intensa e compagnia cantante. (!!!)

Non c’è partita, evitare come la peste il primo, provare a conoscere il secondo, che dà il meglio di sé proprio con questo romanzo.