La necessità di chiamare un luogo “casa”: Kitano ed Asakusa

aprile 15, 2008

Il bisogno di trovare un luogo che rappresenti l’identità, il nucleo autentico di una persona, ciò che egli sente d’essere non solo per affinità di umori e oltre la ricerca del nido sicuro, oltre un orizzonte certo di colori e forme, oltre volti che hanno la qualità del già visto e che innescano schemi di identificazione, un meccanismo di difesa per non perdersi nella folla, e attraverso cui costruire un falso principio di equilibrio. Oltre profumi sparsi da ricomporre in un puzzle che stimoli piacevoli ricordi sepolti nei recessi della mente. Oltre la necessità di tracciare un confine tra “il mio territorio e il resto”, dietro cui tumularsi per escludere il mondo. Piuttosto il richiamo impellente, non conscio e ineludibile, verso un luogo che esercita su di noi un’attrattiva con una tale urgenza da far prorompere stimoli di realizzazione, scoperta di sé in un processo di identificazione empatica. Un ponte sospeso tra noi ed il mondo, da attraversare o da pattugliare, o su cui issarsi per pisciare in testa agli altri.

 

Da “Asakusa Kid” di Takeshi Kitano: Era il 1973, alla fine ero tornato ad Asakusa. Tutto mi ispirava nostalgia. L’enorme lanterna di carta recante la scritta nero lucido “La Porta del Tuono” dipinta con inchiostro di china. La porta laccata rossa e viale Nakamise, con le bancarelle, rosse anch’esse. E il cielo estivo sopra il viale. Le banderuole decorate che roteavano al vento. “Benvenuto ad Asakusa. La sua freschezza e il suo fascino di quartiere popolare!”. Le eterne botteghe d souvenir […] tanta nostalgia mi rassicurava.

 

E io avrei cazzeggiato per tutta la vita? Avevo forse l’intenzione di fare il barman per il resto dei miei giorni? Non avevo altro da fare? Qual era il mio sogno? Qual era il mestiere per il quale ero nato? Più mi ponevo queste domande, più perdevo il senso dell’orientamento, più mi sentivo disgraziato, senza appoggio. Era questo il mio spirito quando improvvisamente mi venne quest’idea: andarmene ad Asakusa e diventare attore comico! […] Non contava più nient’altro che Asakusa […] impossibile resistere a quel richiamo.

 

Le strade del sesto distretto dedicate allo spettacolo e all’intrattenimento sembravano all’improvviso appartenermi. Come anche tutti gli odori  che avvolgevano il quartiere di Asakusa. […] Ero tornato. O forse no, era questo quartiere che attendeva la mia venuta. Cazzo, ecco com’era.