Diverse prospettive nel modo di intendere l’arte: Platone e Aristotele

febbraio 20, 2008

Entrambi partono dal concetto di mimesis, che ridotto al significato base significa imitare, ma si ammanta di una connotazione e di valore diverso in base al periodo storico, alla scuola, al filosofo, al critico, all’artista ecc. che la utilizza. Partiamo da qui per vedere quanto diverse siano le posizioni a cui approdano i due filosofi, e appunto quale valenza assuma il termine che informa il fare arte. Mimesis come nodo esenziale e valutativo non solo dal punto di vista tecnico, ma anche ideologico.  

Platone. È bene partire da una premessa, necessaria per capire: nel secondo periodo della sua attività di filosofo, Platone elabora la teoria delle idee. Egli inizialmente aveva appuntato la sua attenzione sull’insegnamento del maestro Socrate, e sul metodo delle definizioni (maieutica), come primo passo per andare oltre il relativismo sofistico e giungere ad un sapere assoluto. Inoltre bisogna tenere a mente, per capire la genesi della teoria delle idee, l’approfondimento platonico del concetto di scienza, che per il filosofo ha i caratteri di stabilità ed immutabilità, quindi della perfezione. Quale sarà la realtà fotografata dal sapere? Non possono costituire oggetto della scienza le cose del mondo apprese dai sensi, che sono mutevoli ed imperfette, corrispondenti a quella forma di conoscenza mutevole ed imperfetta detta opinione (doxa). Oggetto della scienza non possono essere che le idee, esse rappresentano un’entità perfetta ed immutabile che esiste per suo conto, costituendo una zona d’essere diversa dalla nostra chiamata iperuranio (al di là del cielo). Ciò non esclude uno stretto rapporto tra le cose e le idee, infatti le prime costituiscono una sorta di copia imperfetta delle seconde. Ad esempio, nel nostro mondo possiamo trovare cose più o meno belle, ma nel mondo delle idee esiste la bellezza. 

Passiamo all’arte. Platone ne parla nella Repubblica, illustra una posizione che si conclude con la sua messa al bando dall’educazione dei filosofi per due motivi: uno metafisico-gnoseologico, l’arte è imitazione di qualcosa (gli oggetti, la natura) che è di per sé imitazione delle idee, per questo l’arte è di “tre gradi lontano dal vero”. Anziché spingere l’anima verso le idee, l’arte tende a renderla prigioniera di questo mondo.L’altro di natura pedagogica: l’arte è negativa in quanto corrompe l’anima, i futuri re filosofi devono essere distaccati dalle emozioni, e l’arte è tramite privilegiato delle passioni. Esclude però dalla condanna i miti, in quanto non riproducono il mondo sensibile, ma cercano di dar forma intelleggibile alle cose che sono ultraterrene. L’arte può esistere solo se assoggettata alla filosofia, come momento di integrazione per esprimere e far capire la verità. Limitata a sé l’arte è falsa. L’arte per Platone non ha una propria autonomia, viene recuperata solo come “strumento”, come compendio assoggettata alla filosofia, alla necessità di educare. 

Più nel dettaglio Platone distingue due tipi di mimesis: quando si riproducono esattamente le proporzioni dell’oggetto considerato; quando tiene conto dell’osservatore ed attua una serie di accorgimenti illusionistici che sembrano alterare la realtà, come in architettura. Nella dialettica realtà-apparenza il compromesso è impossibile, ogni apparenza è un tradimento della verità, dato che reali sono solo le idee, illusioni le cose di questo mondo. Una seppur limitata rivalutazione dell’arte è ravvisabile nell’ultimo Platone, quello delle Leggi, indica però come positiva un’arte “simbolica” come quella egiziana, libera dalle illusioni e rivolta alle verità eterne, in tal modo può avere funzione di educazione per i cittadini.  

Aristotele. Anche per lo Stagirita l’arte è imitazione, e in quanto imitazione ha un proprio fondamento naturale “l’imitare è connaturato agli uomini […] tutti traggono piacere dalle imitazioni”. Il termine mimesis viene usato da Aristotele con un ampio spettro semantico, oscillando da mimesis come simulazione, a mimesis come rappresentazione. Nella simulazione è implicito l’inganno, accettato ed anche apprezzato; nella rappresentazione invece è implicita la connotazione della riproduzione, della fabbricazione: una tecnica che crei qualcosa di vicino al modello, ma che non pretende di sostituirlo (la connotazione prevalente è quella di manufatto che riproduce senza pretendere di sostituirsi all’originale). Riconoscere che alla base del fare arte ci sia una tecnica è un passaggio importante, non è assente in Paltone, ma qui è usata come elemento di riconoscimento della piena autonomia dell’arte rispetto all’altro, con cui si vuole alludere alla tensione tra le leggi costitutive dell’attività formale, e l’emergenza di impulsi sociali ed ideologici con cui l’arte viene a contatto o si scontra nella realtà (Bernabei). Per Aristotele ogni forma d’arte è imitazione della natura, e questo ha ricadute positive. Ma c’è di più: le produzioni artistiche si distinguono da quelle della natura perché sono: quelle cose che si trovano nell’animo dell’artista, altro passaggio importante, perciò la produzione artistica non si identifica con la mera attività pratica. L’artista può rappresentare le cose in tre modi “come furono o sono, come si crede o si dice siano, o come dovrebbero essere”. 

Nella Poetica Aristotele afferma che oggetto della tragedia più che il vero è il versimile (ciò che può verificarsi secondo verosimiglianza e necessità). La poesia è più filosofica della storia, in quanto la poesia esprime l’universale, la storia il particolare. In virtù di tale universalità l’arte non è mero gioco formale, ma tende a configurarsi come mezzo per rappresentare l’essenza delle cose, come qualsiasi attività l’arte è dotata di una eminente funzione conoscitiva. Ciò che l’arte rappresenta non è inganno, ma realtà che può essere oggetto di sapere. Inoltre se per Platone l’arte incoraggia le passioni, per Aristotele esercita una funzione purificatrice, liberando l’anima dalle passioni che essa rappresenta, perciò può avere un ruolo educativo per l’uomo. Certo, vengono presentati anche dei personaggi negativi, in cui ci si può riconoscere, ma se da un lato la fallibilità del personaggio ce lo fa sentire vicino, dall’altro la responsabilità del fallo ricade intermente su di lui. L’errore segna il limite dell’identificazione.L’immagine può sortire inoltre un effetto contrario all’originale. Certe immagini che nella realtà possono metterci a disagio o disgustarci, riprodotte provocano piacere. Aristotele considera l’arte come un contenitore che comprende le cose “che possono essere diversamente da ci che sono”, quindi non risultano soggette alla necessità che è propria della scienza. L’arte vive in uno spazio di possibilità e libertà.  

Se Platone subordina l’arte ad altre esigenze, Aristotele le riconosce un campo autonomo nell’agire che ha un’alta funzione e utilità, sia per chi fa “imitando si impara”, sia per chi poi guarda. Se per Platone l’arte è una copia fuorviante di ciò che esiste, per Aristotele è costruzione. Quindi per Platone è registrazione passiva di qualcosa che già c’è (e che a sua volta è una copia), per Aristotele fare arte è un’operazione attiva che coinvolge la sensibilità, è un’operazione intellettuale che prevede la scelta, una selezione della realtà che permette che questa sia capita, e permette di fornire un messaggio universale. Per Platone l’arte è subordinata all’idea di verità; Aristotele riconosce l’autonomia dell’esperienza arte, le sue peculiarità, le sue possibilità.

Infine, alla base delle differenze tra i due filosofi c’è una diversa concezione di mimesis, che oscilla tra l’interpretazione passiva di Platone, a mimesis come operazione attiva di Aristotele.