Spesso ci si interroga su quale sia il modo corretto di esprimersi e se abbia diritto d’asilo in un ragionamento, in una conversazione, un termine degradato, volgare, sopra le righe. In genere si riconosce a questo la possibilità di esserci solo se inserito in un contesto, così allora viene legittimato ed assume un senso. Io invece vado oltre la necessità di nobilitare un’espressione volgare, e ritengo che essa abbia senso e dignità al di là del contesto, allo stesso modo di un termine aulico o prezioso, senza la necessità di disinnescarne la forza dirompente, imbrigliandolo in un contesto diverso, facendogli assumere una forma che non ha. C’è inoltre un meccanismo pericoloso che interviene in chi ascolta il termine degradato, che si può esemplificare in una chiusura totale ed a-critica verso chi l’ha pronunciato. Si concentra l’attenzione non sul contenuto di ciò che è stato detto, ma su come lo si è detto. Non si capisce (capacità di astrazione diceva Kant) che: se devi dirmi che sono un cretino, dimmelo in base a ciò che ho detto, non a come l’ho detto. Perché se strutturo una proposizione con termini peregrini, o piani, posso dire ciò che voglio, ma se ci metto dei termini degradati allora subisco veti e censure? Chi stabilisce ipotetiche patenti di validità basandosi non sul contenuto ma sulla forma? Chi è migliore: il raffinato stilnovista, o il putrido (in alcune circostanze) Jacopone da Todi?
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi/ che ‘n mille dolci nodi gli avolgea/ e ‘l vago lume oltra misura ardea/ di quei begli occhi, ch’or ne son si scarsi. Bravo è bravo Petrarca, che gli vuoi dire, fai la tua porca figura a citarlo, ma Francesco non ti è venuto il dubbio che magari Laura sia morta di tedio?
Qui non c’è pericolo di annoiarsi. I tre moschettieri A. Ginsberg, J. Kerouac e N. Cassady si mettono insieme per : prendimi il pisello/ con la mano a coppa/ Fa che non pensi al guaglioncello/ fammi un su e giù/ non resisto più/ inondami di petali/ imperlami le ali/ […] allappami le parti/ pappami il pisello/ infilati il mio martello/ insalivami il gioiello.Lascio la difesa d’ufficio all’accorato, appassionato, turbinante C. A. Corsi (scrittore e docente universitario) dato che prenderò a prestito alcuni concetti da lui espressi su Kerouac poeta: perché Kerouac è ancora vivo oggi, e non solo limitato il suo studio alla dissezione accademica? Per la lezione di libertà che regna nelle sue opere “che poi si tratti di vera o presunta libertà è in questa istanza scarsamente rilevante. […] è la libertà di essere se stesso, di irridere le mode, di fare spallucce alle conversazioni sociali e poetiche” e per farlo usa gli strumenti di tecnica e cultura che rendono spontaneo un gesto spontaneo. “La nuova poesia americana” che piacere lo stesso Kerouac interviene “almeno per quanto riguarda il Rinascimento di S. Francisco, è una poesia zen e folle, che ti permette di scrivere qualsiasi cosa ti passi per la testa, una poesia veramente ORALE (Ferlinghetti), invece delle fumisterie dei grigi accademici. È da tempo che prosa e poesia sono finite nelle mani false dei falsari”.
Dio Emily se mi fai perdere la testa quando scrivi:
Wild Nights – Wild Nights!
Were I with thee
Wild Nights should be
Our luxury!
Futile -the Winds-
To a Heart in port –
Done with the Compass –
Done with the Chart!
Rowing in Eden –
Ah, the Sea!
Might I but moor –Tonight-
In Thee!
[Notti selvagge – notti selvagge!/ Se io fossi con te/ notti selvagge sarebbero/ nostra voluttà!/ Futili i venti/ per un cuore in porto/ niente più bussola/ niente più carta/ Remando nell’Eden/ ah, il mare! Se potessi ancorarmi/ stanotte in te!] e che scrupoli di coscienza si fece venire il colonnello Higginson dovendo nel 1891 curare un’edizione dei Poems, desiderava inserirla ma non osava. Daje colonnello, daje che ne vale la pena “temo che i maligni vi leggano più di quanto la vergine reclusa si sia mai sognata di mettervi […] eppure quale perdita sarebbe ad ometterla” e allora daje colonnello e che i malparlieri la condannino dietro le imposte delle loro solide brownstones, mentre di notte la leggono segretamente fino a stamparsi nel cranio quei meravigliosi versi, versandoli poi in un soffio caldo nelle orecchie delle loro mogli nere di castità battista, per accenderle, per metterle in moto, perché su al nord fa freddo d’inverno e allora il peccato diviene meno peccato se in fondo è utile per scaldarsi. Odio quando si dice di una poesia che ha ritmo (che pare ridurre tutto ad una rullata di tamburi), ma Cristo se ha ritmo questa poesia, incalza e spezza Emily, mi sembra di fare l’amore con te, non me ne voglia il colonnello, certo, ha ragione a ricordarmi che le metafore d’amore nella Dickinson si nutrono di presenza ed assenza, ma qui ci siamo, ci siamo colonnello, abbia pazienza, tiri la tendina, non si inquieti se io ed Emily stiamo facendo l’amore.
La porta si aprì di nuovo ed entrò dentro una, una donna abbastanza ben messa, e si mise gattoni e cominciò a lustrare il parquet, e dimenava il culo “che ne direbbe di una bella ragazza?” “no, sono troppo stanco” “Ma un bel pezzo di sorca, però, concilia il sonno. Viene solo 5 dollari” “sono troppo cotto” “è una bella ragazza, pulita” “dove sarebbe?” “eccomi qua”. Eccolo il vecchio Charles Bukowski, poteva mancare il suo stomaco devastato (d’altronde fanculo il cuore che quello sbrodola melassa in certi libri, è lo stomaco, almeno per me, il vero fulcro di ogni sentimento)? Il suo sesso perennemente in furore? Ma stavolta non ne ha voglia, e così la puttana che non conclude l’affare le prende dal magnaccia. Cazzo ti rimorderà la coscienza Charles, o ti sei bevuto anche quella? “quella strillò e lui la sbatté contro il muro [..] beh, pensai, il mondo è bello perché vario, ma tutto questo poco mi sfagiola, se l’avessi saputo gliel’avrei data un’incarcatina”. Lo dicevo io che in fondo, sotto l’inguine, c’è un cuore che batte, eccome se batte: Cass era la più bella ragazza di tutta la città. Mezz’indiana, aveva un corpo stranamente flessuoso, focoso era come un serpente. Era come uno spirito incastrato in una forma che non riusciva a contenerlo. Lo spirito o alle stelle o giù sotto i calcagni. Non c’era via di mezzo per Cass. C’era chi diceva che era pazza, gli imbecilli lo dicevano. Gli scemi non potevano capirla. Agli uomini in genere Cass pareva una macchina da fottere […] e Cass ballava e civettava, si lasciava baciare, ma, quando si veniva al dunque Cass si eclissava, Cass aveva eluso gli uomini. “Tutti quanti mi accusano d’essere carina, sul serio mi trovi carina?” aspetta Charles, rispondo io a Cass: sei la migliore cosa che mi sia mai capitata. Fa cagare, lo so, meglio la tua: “non è il termine adatto, carina non ti rende giustizia” se non altro suona più onesta. Che fa adesso Cass, che razza di lavoro, si ficca uno spillone nel naso, dentro da una parte, fuori dall’altra… e il sangue… Charles è pazza “è selvatica” fa lui, schizoide dico io, “una bellissima schizoide spirituale” conclude, e così sia Charles. Il prossimo lo paghi tu, intanto tamponale il sangue che il barista è incazzato che basta.
I tuoi occhi vuoti sono popolati di visioni notturne, e vedo sul colore del tuo volto riflessi alterni, freddi e taciturni, follia e orrore. Non capisco bene cosa c’entri ma grazie di aver partecipato Baudelaire “baciai allora le caviglie fini, lei ebbe un dolce ridere brutale, che si sgranava in un limpido trillo, come un chiaro tinnire di cristallo” certo Rimbaud ma… “quanto mi piace, cara indolente, veder scintillare la pelle del tuo splendido corpo come se fosse una stoffa ondeggiante…” ok Baudelaire però non… “inciso sulle reni si legge: Clara Venus, tutto quel corpo s’agita e porge l’ampia groppa, schifosamente bella per una piaga all’ano” Rimbaud, non vi accapigliate, ma è il tuo maestro, e le corrispondenze… “dal suo pelame biondo e bruno, esce un profumo così dolce, che una sera per averlo accarezzato una volta, una sola, ne fui tutto impregnato” eh, no, Baudelaire questa l’hai scritta per un gatto non per una donna, non rivenderci… “ahimé con il veleno e la lama m’hanno disdegnato” e non buttarla sul tragico Charles… “il coito è principalmente affare dell’uomo, la gravidanza invece solo della donna” scusa Sohpenhauer, tu cosa c’entri, maledetta vecchia litigiosa Europa, ma si può sapere poi come si è finiti a parlar d’amore e donne, puttana-merda? (che son due termini che Dante usa nell’Inferno, mica li ho messi così alla cazzo)
Ti dirò uguale ad un giorno d’estate/ più temperanza tu hai, più dolcezza/ i mille bocci sferza il vento di maggio/ e l’estate ha scadenze troppo brevi […] ma la tua estate eterna non scolora/ e non si priverà di tua bellezza. E figurarsi se parlando di donne non saltava fuori Shakespeare. Ma guardati William, guarda cosa ti hanno fatto diventare: il discount letterario a cui attingere se uno non ha passione e fantasia, buono per un bigliettino per la farlocca festa di S. Valentino. Buttano la monetina e tu come una scimmia fai la capriola. Guardati Bardo, guarda cosa ti hanno fatto diventare… fai paura. Ne ho le palle piene di tutti voi, della vostra bocca sporcacciona o dei vostri versi tagliati con il cesello, concludo con una bella flatulenza alla Ignatius Reilly (benedetto J. K. Toole) e ricordo che la poesia (storpiando un verso di Kerouac) è morire d’estasi ed uno può scegliere le armi che più gli comodano per morire (perciò anche termini scurrili, maleducati, stronzi) e che se questo vale per la poesia figurarsi per la comunicazione di tutti i giorni. A conclusione di tutto ciò ci piazzo una mia poesia:
Che avrà Erato da strillare?
Dice che la veste non le dovevo sollevare:
“lo fa anche il vento” rispondo stupito
– comunque tu resti un gran pervertito! –
“dicevan che fossi Musa d’Amore”
– mi hai forse scambiata, per una cagna in calore?
Son musa senz’altro, e te lo dimostro,
inzuppa la penna nel vasetto d’inchiostro –
Provo a pensare: “Non mi viene niente”
– perché sei sensibile quanto un serpente –
“a letto funzioni, sei tutta un bollore,
ma come Musa sei uno squallore”
Le cola del rimmel dal volto sudato,
quelle lacrime nere dei versi han creato:
……sei più bello d’un fiore…..
……ti dono il mio cuore…..
“Tutto qui ciò che sai fare?”
Le chiedo deluso, l’ho fatta arrabbiare,
mi volta le spalle, ha un bel sedere,
mi dispiacerebbe davvero, non poterlo più avere.
Provo a fermarla, ma ha già deciso,
il nostro rapporto per sempre reciso.
“Ehi Erato, se non mi vuoi più ispirare,
hai almeno cento euro da potermi prestare?”.