Non è importante

Maggio 8, 2008

“E’ sempre un errore andare in cerca del modello di un’opera d’arte” Otoko, pittrice, protagonista del libro di Y. Kawabata, Bellezza e tristezza, (Utsukushisa to Kanashimi to).

lippi

Filippo Lippi “Madonna con Bambino e due angeli” (1465)


Il blu di Tokyo (3), pioggia, Murakami (passando per Verlaine)

Maggio 2, 2008

Gli occhi di Naoko si riempirono di pianto, due lacrime le rigarono le guance e caddero con un rumore distinto sulla copertina di un disco. Fu l’inizio di un pianto irrefrenabile. Piangeva con il corpo piegato in avanti e le mani poggiate sul pavimento, nella posizione di chi sta vomitando. Non avevo mai visto in vita mia un pianto così violento. Stesi dolcemente la mano e le toccai le spalle. Sentii il fitto tremito che la scuoteva. Poi, quasi inconsciamente, la strinsi tra le braccia. Continuò a piangere così, in silenzio, e io sentivo il suo tremito attraverso il mio petto. Per le lacrime ed il respiro caldo la mia camicia si inumidì, e dopo un po’ era completamente bagnata. […] Restai a lungo in quella posizione aspettando che Naoko smettesse di piangere. Solo che non smise. (Haruki Murakami – Tokyo blues, Norwegian wood).


Dì, amico, dove stai andando?

aprile 30, 2008
Poi si è voltata verso il barista e gli ha ordinato altre due birre. Io mi stavo tenendo da conto la mia, ma a quel punto l’ho scolata tutta, pensando che magari mi avrebbero offerto un giro. Non lo fecero.
“Che combini?” mi ha chiesto la prima donna
“in questo momento niente” ho detto “qualche volta, se posso, studio”
“studia” ha detto lei all’altra “è uno studente, dov’è che studi?”
“in giro” ho risposto
“te l’avevo detto, no?” ha detto lei “che aveva l’aria di uno che studia”
“e che cosa ti stanno insegnando?” ha chiesto la seconda donna
“tutto” ho risposto io
“voglio dire” ha detto lei “che cosa hai intenzione di fare? Qual è il grande scopo della tua vita? Tutti hanno un grande scopo nella vita”.
Ho sollevato il bicchiere verso il barista. Lui l’ha preso e l’ha riempito di nuovo. Ho pagato con gli spiccioli e mi sono reso conto che mi erano rimasti trenta centesimi dei due dollari con cui avevo cominciato un paio d’ore prima. La donna era ancora in attesa della mia risposta. (“Scuola serale” – Carver)

Mel – cuoco “ho 50 anni, cosa posso aspettarmi dalla vita?”
Vera – cameriera “di compierne 51”
(Alice – serie televisiva)

Gli iris di Van Gogh

aprile 24, 2008

Van Gogh: gli iris all’interno del giardino del manicomio di Saint-Rémy.

iris

Dov’è l’orizzonte in questo quadro? Lo vedi l’orizzonte da dentro il manicomio? Lo si può vedere da laggiù, con la faccia per terra a mangiare la polvere in mezzo agli iris? Chi sono quegli iris? Rappresentano dei fiori, certo, in gruppo, nel giardino, insieme. Che apparente caos in quello spazio, caos di forme, sinapsi disgregate, follia? In realtà c’è un preciso ordine nell’oraganizzazione di pieni e vuoti, di masse e colori. La natura si sviluppa nell’ordine, crea e distrugge in modo ordinato e sistematico, la mente umana (che della natura è particella ed emanazione e nemica) crea e distrugge in modo ordinato e sistematico, basta solo individuare l’esatto schema di svolgimento. Il pieno degli iris che si accalcano sulla destra, premono fremono frenano, è compensato dal vuoto del nudo della striscia di terra dalla parte opposta: nuda, perciò sincera, rossa a legarsi con i fiori sullo sfondo, tanti piccoli vecchi decomposti soli sospesi in rifrazioni di verde e nero. Che fanno quelli lì dietro? Perché non riempiono il secondo vuoto, in alto a destra, proprio dietro gli iris (ancora dietro), che cosa c’è in quel vuoto? Quel vuoto serve solo per creare un’altra fascia di equilibrio, questa volta nello sfondo. Già, deve essere così: un pieno-un vuoto, un pieno-un vuoto, davanti e dietro. Stanze vuote, vite vuote, teste vuote, e il pieno? E la compensazione? E l’armonico svolgersi della natura? E gli schemi? Possibile che solo in limitati spazi le proporzioni rimangano in equilibrio? Il margine del dipinto taglia lo spazio, non comprende tutti i fiori, li mutila, ne lascia fuori. E’ solo una porzione di giardino ad essere ordinata. La vita di un uomo è troppo grande per permettere alla natura di riempire i vuoti, per consentirle di alternare vuoto e pieno, per permetterle di mettere tutto dentro? E’ possibile riconoscere il vuoto?

Verde violento di foglie che garriscono al vento (eppure non c’è vento) si sollevano in disperate spirali di morte, come a fuggire, ma non possono, inchiodate al terreno da radici profonde. Viola dissonante di iris confusi dal vento (eppure non c’è vento), forme dai contorni neri, neri, neri, spessi, prigioni? Un solo iris bianco, estraneo, incompleto, in disparte: ti manca qualcosa. Non doveva andare così.

“Capezzoli rosa. Roseo umore, imene. Rose gialle. Lillà violacei. Fiori di cachi: seppellitemi in un mondo di bellezza. Al mio funerale sarò finalmente trattata come un essere umano?” (Y. Kawabata “Immagini di cristallo” – Suisho Genso)

Si crede erroneamente che la follia sia libertà, è solo una forma diversa di solitudine. Tutti uguali, lo siamo, inappetenti alla diversità. Tutti i giorni uguali: noi, il sole, gli iris, ogni singolo atomo dell’universo, l’ameba non muore e non nasce, si rigenera all’infinito, non ha sesso, non fa sesso, non ha gusto, non ha bisogno del confronto… sempre uguale, coerentemente, schizzofreneticamente uguale: non si dà sotto il sole la novità (Qohélet). Anche oggi si svolge da una matassa ordinata di pieni e vuoti una magnifica giornata. Il sole farà crescere gli iris.


La necessità di chiamare un luogo “casa”: Kitano ed Asakusa

aprile 15, 2008

Il bisogno di trovare un luogo che rappresenti l’identità, il nucleo autentico di una persona, ciò che egli sente d’essere non solo per affinità di umori e oltre la ricerca del nido sicuro, oltre un orizzonte certo di colori e forme, oltre volti che hanno la qualità del già visto e che innescano schemi di identificazione, un meccanismo di difesa per non perdersi nella folla, e attraverso cui costruire un falso principio di equilibrio. Oltre profumi sparsi da ricomporre in un puzzle che stimoli piacevoli ricordi sepolti nei recessi della mente. Oltre la necessità di tracciare un confine tra “il mio territorio e il resto”, dietro cui tumularsi per escludere il mondo. Piuttosto il richiamo impellente, non conscio e ineludibile, verso un luogo che esercita su di noi un’attrattiva con una tale urgenza da far prorompere stimoli di realizzazione, scoperta di sé in un processo di identificazione empatica. Un ponte sospeso tra noi ed il mondo, da attraversare o da pattugliare, o su cui issarsi per pisciare in testa agli altri.

 

Da “Asakusa Kid” di Takeshi Kitano: Era il 1973, alla fine ero tornato ad Asakusa. Tutto mi ispirava nostalgia. L’enorme lanterna di carta recante la scritta nero lucido “La Porta del Tuono” dipinta con inchiostro di china. La porta laccata rossa e viale Nakamise, con le bancarelle, rosse anch’esse. E il cielo estivo sopra il viale. Le banderuole decorate che roteavano al vento. “Benvenuto ad Asakusa. La sua freschezza e il suo fascino di quartiere popolare!”. Le eterne botteghe d souvenir […] tanta nostalgia mi rassicurava.

 

E io avrei cazzeggiato per tutta la vita? Avevo forse l’intenzione di fare il barman per il resto dei miei giorni? Non avevo altro da fare? Qual era il mio sogno? Qual era il mestiere per il quale ero nato? Più mi ponevo queste domande, più perdevo il senso dell’orientamento, più mi sentivo disgraziato, senza appoggio. Era questo il mio spirito quando improvvisamente mi venne quest’idea: andarmene ad Asakusa e diventare attore comico! […] Non contava più nient’altro che Asakusa […] impossibile resistere a quel richiamo.

 

Le strade del sesto distretto dedicate allo spettacolo e all’intrattenimento sembravano all’improvviso appartenermi. Come anche tutti gli odori  che avvolgevano il quartiere di Asakusa. […] Ero tornato. O forse no, era questo quartiere che attendeva la mia venuta. Cazzo, ecco com’era.

 


Personalità sintetizzate 2

aprile 12, 2008

“Ecco quel che sono veramente: cattivo, sbronzo ma in gamba” Joseph Roth

“In me ten paradoxes make one truth” Dylan Thomas


Corrispondenze: bianco e nero, Van Gogh e Elliott Smith.

aprile 5, 2008

“Siamo del tutto d’accordo sul nero in natura. Il nero assoluto non esiste realmente. Ma, come il bianco, è presente in quasi tutti i colori e va a creare la varietà infinita dei grigi – diversi per tonalità e forza. Cosicché in natura, in effetti, non si vedono che quelle tonalità e quelle sfumature” (V. Van Gogh, in una lettera al fratello Theo)

Elliott Smith “Angeles”

van

“Beh, cosa vuoi, quello che uno ha dentro traspare anche al di fuori. Uno ha un grande fuoco nel suo cuore e nessuno viene mai a scaldarcisi vicino, e i passanti non vedono che un poco di fumo in cima al camino, e poi se ne vanno per la loro strada. E ora che fare, mantenere quel fuoco interno, attendere pazientemente eppur con tanta impazienza, attendere il momento in cui qualcuno vorrà sedersi davanti, e magari fermarsi? Chiunque creda in Dio, attende che venga la sua ora, un momento o l’altro” (V. Van Gogh, in una lettera al fratello Theo)